le tecnologie

Contact tracing, perché è così importante contro il covid (anche in Italia)

Perché anche l’Italia ha deciso di puntare sul contact tracing per contenere la diffusione del covid-19 nella fase 2 e come funzionano le tecnologie – come il bluetooth – che consentiranno di garantire trasparenza e tutela della riservatezza

Pubblicato il 21 Apr 2020

Giuseppe Attardi

professore di Informatica all'Università di Pisa

Nicola Marino

Direttivo AiSDeT - Associazione italiana di Sanità Digitale e Telemedicina

Enrico Santus

Senior Data Scientist a Bayer, esperto di AI nella Salute

coronavirus2

Si ripete da tempo che la più efficace soluzione per contrastare la diffusione del coronavirus sia il vaccino, ma, come è noto, lo sviluppo di un vaccino richiede tempi troppo lunghi per poter attendere in una condizione di lock down generalizzato.

Altri strumenti devono quindi essere adottati. Tra essi, oltre a sistemi già adottati nel nostro Paese – quali l’isolamento dei focolai e il distanziamento sociale tra le persone – si fa strada anche il contact tracing. Grazie all’utilizzo di app ad hoc – in Italia il Governo ha scelto Immuni di Bending Spoon – è infatti possibile infatti gestire l’epidemia (non reprimerla), riducendo lo stress delle istituzioni sanitarie.

Proviamo quindi ad approfondire, di seguito, i principi del contact tracing, con il supporto di alcuni studi che ne dimostrano l’efficacia.

Come funzionano le app di contact tracing

Tutte le app finora sviluppate per il contact tracing si avvalgono di un algoritmo semplice che sfrutta funzionalità diffuse su tutti gli smartphone, quali il Bluetooth (BT) e il Global Positioning System (GPS). Queste app si poggiano su un server centrale, in cui l’autorità sanitaria salva – previo consenso degli interessati e dopo anonimizzazione dei dati – i contatti registrati dagli smartphone dei soggetti positivi al coronavirus. Questo server centrale comunica poi con i dispositivi di tutti gli altri utenti (o in locale o inoltrando i dati anonimizzati e aggregati agli smartphone) per permettere loro di verificare di non aver avuto contatti con soggetti positivi. Qualora dei contatti vi fossero stati, gli utenti sarebbero informati che il contatto è avvenuto senza rivelare né dove è avvenuto né chi sia il soggetto positivo.

Per comprendere quanto sia importante conoscere se una persona sia stata a contatto con un soggetto positivo al Covid-19, potremmo dividere i soggetti contagiati in tre categorie:

  • chi ha già sviluppato i sintomi,
  • coloro che li hanno sviluppati in modo lieve (paucisintomatici) e
  • i cosiddetti “asintomatici”, ovvero quel gruppo di persone che non riporta alcuna sintomatologia sebbene sia positivo.

Gran parte dei contagi non monitorati avvengono nel periodo in cui chi è positivo non ne è ancora consapevole e pertanto non prende precauzioni di sorta (quali la quarantena). Questo è stato confermato da un recentissimo studio condotto da Ferretti et al., e pubblicato su Science.

Gli studiosi hanno mostrato che l’alta incidenza della trasmissione pre-sintomatica (quella in cui i sintomi non sono ancora evidenti) può rendere inefficaci gli interventi di isolamento nel controllo dell’epidemia, sostenendo che le tradizionali procedure di localizzazione manuale dei contatti non siano sufficientemente veloci per contrastare la diffusione del SARS-CoV-2. A rafforzare tale tesi lo studio pubblicato sulla rivista Nature, il quale, analizzata la patogenesi virale ed osservato il picco di carica virale nei tamponi oro-faringei al momento dell’insorgenza dei sintomi, ha stimato che il 44% dei casi secondari di infezione avviene durante lo stadio presintomatico dei casi primari.

Da qui, si conclude che un’app di tracciamento ricoprirebbe un ruolo decisivo qualora fosse affiancata all’isolamento sociale (le metodiche adottate singolarmente non garantirebbero lo stesso effetto preventivo). Tale app dovrebbe fornire agli utenti la possibilità di ricevere una notifica istantanea qualora ad un soggetto con il quale sono entrati in contatto fosse stata fatta una diagnosi di infezione da Covid-19 entro i 2-3 giorni precedenti (garantendo la massima privacy) ed inducendo tali utenti all’autoisolamento.

Efficacia dell’app

L’efficacia della app è proporzionale alla sua diffusione e alla rapidità con cui essa informa i partecipanti di contatti sensibili (potenziali contagiati). In questo modo si possono precocemente indurre all’isolamento nuovi potenziali infetti, riducendo la diffusione della patologia durante uno stadio di assenza di sintomi. Inoltre, la app risolve il problema legato all’incertezza del ricordo (ovvero la difficoltà di ricordare tutti gli spostamenti degli ultimi 14 giorni) o alla non conoscenza diretta dei contatti (difficilmente un soggetto conosce tutti coloro che ha incontrato, ad esempio i passeggeri di un bus). Infine, considerando che la app può consentire di somministrare questionari di analisi dello stato di salute con cadenza giornaliera, si ridurrebbe drasticamente lo sforzo dell’autorità sanitaria nel reperire tali informazioni.

I benefici legati all’uso di una app, tra l’altro, non sono solo sanitari, ma anche economici (micro e macro), psicologici e sociali. La consapevolezza di essere soggetti a rischio, senza temere che tale informazione raggiunga altre persone, permette infatti agli individui di agire responsabilmente nei confronti delle persone vicine, responsabilizzando di conseguenza l’intera comunità.

La soluzione di Apple e Google

Il 10 Aprile 2020 Apple e Google hanno annunciato di aver avviato una collaborazione al fine di trovare una soluzione alla diffusione del Coronavirus. Le due multinazionali hanno dichiarato che, già a maggio, rilasceranno una API (Application Programming Interface) che permetterà – agli sviluppatori di app supportati da autorità riconosciute – di sfruttare la tecnologia Bluetooth per tracciare i contatti usando un’unica interfaccia per entrambe le piattaforme, iOS e Android. Al centro di questa decisione, Apple e Google hanno posto l’attenzione su privacy, trasparenza e consenso. E difatti dovranno essere gli utenti stessi a decidere se attivare o meno tale sistema, che sarà comunque reso disponibile di default su tutti i dispositivi.

La scelta di sfruttare il Bluetooth da parte dei due colossi americani deriva dal fatto che questa tecnologia – diversamente dal GPS – non permette di identificare la posizione dei soggetti, ma solo la prossimità tra dispositivi. Il Bluetooth, infatti, sfrutta onde radio a corto raggio, permettendo la comunicazione tra dispositivi a distanza di pochi metri.

Perché la tecnologia bluetooth

Immaginiamo che due persone si incontrino in un parco e scambino una rapida conversazione. Se le loro app di tracciamento sono attivate, i loro dispositivi inizieranno a scambiarsi dei codici a vicenda. Tali codici non identificano il dispositivo stesso, ma sono numeri generati in maniera casuale (con seme fisso – per la riproduzione) ogni 15 minuti. Quando gli individui si allontaneranno, i loro dispositivi conterranno dei codici anonimi che non sono associabili ad alcun soggetto fisico.

Se dopo qualche giorno uno dei due individui coinvolti nel contatto viene trovato positivo al coronavirus, il personale sanitario può procedere con un lungo questionario/una lunga intervista, oppure può chiedere di condividere i numeri casuali che il dispositivo del soggetto ha memorizzato negli ultimi giorni. Se si procede con la condivisione, questi numeri vengono caricati – in forma anonima – in un server centrale, al quale le app di tutti gli altri utenti possono accedere per verificare che non abbiano esattamente lo stesso codice. Se l’app di un utente trova un codice nel database della sanità, l’utente riceverà un avviso, che lo informerà di essere stato a contatto con un soggetto infetto per un certo periodo di tempo, e che dovrà pertanto prendere delle precauzioni. È garantito sia l’anonimato dell’infetto che dell’altro partecipante al contatto, poiché i numeri seriali non sono in alcun modo riconducibili agli identificativi dei due, e perché i luoghi di contatto non sono mai salvati. Né il personale sanitario né Apple o Google potranno mai identificare l’utente.

Immuni, la soluzione italiana

In Italia, giovedì scorso, il commissario straordinario all’Emergenza CoVid-19, Domenico Arcuri, ha scelto di adottare la soluzione Immuni di Bending Spoons, una delle 319 proposte arrivate durante la fast call del Ministero per l’Innovazione Tecnologica e la Digitalizzazione.

La app della software house milanese potrà essere adottata su base volontaria e sarà sperimentata prima in alcune Regioni, prima della diffusione nazionale. La app non solo rileva i contatti come abbiamo già descritto sopra, ma permette di memorizzare anche un diario che analizza la storia clinica del paziente, nonché informazioni sui farmaci assunti dallo stesso. Dettagli che potrebbero rivelarsi fondamentali qualora venisse diagnosticato il CoViD-19. Limite di Immuni è il fatto che non sia open source, un vero peccato se si considera che analoghe app sviluppate in tutto il mondo lo sono – si pensi a Safe Paths del MIT o TraceTogether di Singapore.

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